IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Per quanto concerne il problema dell'inutilizzabilita' degli atti
  di  indagine effettuati al di la' del termine stabilito dalla legge
  o   prorogato   dal   giudice,   come  disposto  dall'ultimo  comma
  dell'art. 407  c.p.p.,  nella  fattispecie  in  esame da un lato il
  deposito  della  prima  perizia  e l'esame del perito sono avvenuti
  dopo  il termine di sei mesi senza che vi fosse stata una proroga e
  dall'altro  questo  giudice  non  ha potuto disporre una proroga in
  quanto,  avendo deciso d'ufficio la rinnovazione della perizia, non
  era  abilitato,  ai  sensi  dell'art. 393  c.p.p.,  ad  emettere il
  relativo  decreto  difettando la richiesta del pubblico ministero e
  tanto meno delle persone sottoposte alle indagini.
    Peraltro,  la  disposizione  normativa  in  tema  di  proroga dei
  termini  in  occasione  dell'espletamento dell'incidente probatorio
  da' luogo ad alcune perplessita' di carattere costituzionale.
    Innanzitutto,  la  direttiva n. 40 della legge delega 16 febbraio
  1987, n. 81, nel disciplinare esaurientemente ed ampiamente il c.d.
  incidente  probatorio  non  fa  alcuna menzione, neanche indiretta,
  alla previsione del termine di cui alla direttiva n. 48. Ed anzi in
  tale ultima direttiva e' prescritta la inutilizzabilita' degli atti
  compiuti  dal  pubblico  ministero  oltre  i  termini  stabiliti  o
  prorogati.  Questa  dizione  e'  meglio  riportata nella previsione
  legislativa  del citato ultimo comma dell'art. 407 c.p.p, in cui si
  parla di "atti di indagine".
    Orbene,   e'   a  tutti  noto  che  l'incidente  probatorio  solo
  temporalmente rientra nella fase delle indagini preliminari laddove
  in  sostanza  esso costituisce una vera e propria' parentesi in cui
  non  agisce  piu'  il  pubblico ministero per il compimento di atti
  d'indagine  bensi'  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  in
  funzione di giudice dibattimentale.
    Infatti,   durante   l'incidente   probatorio  non  e'  possibile
  sostenere  che  venga  compiuto  alcun  atto  d'indagine  nel senso
  codicistico  bensi', proprio per le funzioni e le finalita' di tale
  istituto, si acquisiscono delle vere e proprie prove che potranno e
  dovranno  essere  utilizzate  in  dibattimento  alla stessa stregua
  delle acquisizioni probatorie di quella fase processuale.
    Tanto  vero  che  l'attivita'  non  e' in alcun modo demandata al
  giudice  delle  indagini preliminari (ovvero all'altra parte) ma e'
  specificamente  rimessa alla discrezionalita' del giudice fin dalla
  stessa  scelta  della  sua  ammissione,  nei  cui  confronti non e'
  previsto alcun mezzo di impugnazione.     E cosi' via e' il giudice
  che decide il modo di acquisizione come dimostra proprio il caso di
  specie  in  cui il giudice per le indagini preliminari ha ravvisato
  la  necessita'  dell'espletamento  di  una perizia indicando piu' o
  meno  genericamente i quesiti ma e' stato il giudice, con l'ausilio
  di  tutte  le  parti  ai  sensi del secondo comma dell'art. 226 del
  codice di rito, a formulare i quesiti specifici. Ed e' stato sempre
  il  giudice  a  seguire direttamente l'espletamento dell'incombente
  peritale   secondo   le   disposizioni   di  legge  fino  alla  sua
  conclusione.
    Pertanto,  in  primo  luogo,  l'imposizione  della  normativa del
  termine  delle  indagini  preliminari  in  occasione dell'incidente
  probatorio  e' contrastante con le disposizioni dettate dalla legge
  delega  che,  invece, ha rettamente costruito iI predetto incidente
  come  una  digressione  dalle indagini preliminari costituendo esso
  un'eccezionale ma chiara anticipazione del dibattimento.
    Consegue  nella  disposizione  di  cui  all'art. 393  c.p.p.  una
  precisa  violazione dell'art. 76 della Costituzione.     In secondo
  luogo,  si  e'  creata  in  tal modo una evidente ed ingiustificata
  disparita'  di  trattamento  fra  la  posizione  di  coloro nei cui
  confronti viene acquisita una prova in sede dibattimentale e coloro
  per  i  quali,  invece, l'acquisizione della prova viene anticipata
  con l'incidente probatorio.
    In  particolare,  per  il  dibattimento  non  e'  stabilito alcun
  termine  per  cui  la istruzione di cui agli artt. 496 e ss. c.p.p.
  puo'  avvenire  senza alcun limite, per un tempo indeterminato sia,
  ad  esempio,  con  il ripetuto esame e controesame dei testimoni ed
  eventuali  conseguenti  contestazioni delle loro dichiarazioni sia,
  soprattutto,   con   l'espletamento   di   nuove  perizie,  con  la
  proposizione  di  nuovi quesiti ai periti, con l'approfondimento da
  vari punti di vista degli accertamenti e delle risultanze peritali.
    Pertanto,  appare  manifesta  la  limitazione temporale in favore
  dell'indagato  rispetto  all'imputato  nonostante  l'art. 61 c.p.p.
  parifichi  praticamente entrambe le posizioni attribuendo, anzi, da
  un  certo  punto  di  vista,  una  situazione  di maggiore garanzia
  proprio  all'imputato  che  viene  preso come punto di riferimento,
  tanto  che  e' prescritta l'estensione alla persona sottoposta alle
  indagini  di  qualunque  disposizione  relativa  all'imputato ed in
  particolare,   in   riferimento   all'incidente  probatorio  vedasi
  l'art. 2, direttiva n. 36 della citata legge delega.
    Ne  deriva  incontestabilmente  che  l'imputato  deve  sottostare
  illimitatamente alla ritenuta necessita' di acquisizioni probatorie
  di  qualunque  tipo in sede dibattimentale di talche' il processo a
  suo  carico  puo' - come accade nella realta' - assumere una durata
  indeterminata.
    Al  contrario,  l'incidente  probatorio  che  -  si  ribadisce  -
  costituisce    incontestabilmente    una    parentesi   di   natura
  dibattimentale   nel   corso   delle   indagini   preliminari,   e'
  immotivatamente limitato temporalmente.
    La disparita' di trattamento diventa ancor piu' evidente nel caso
  in  cui,  ad esempio, l'incidente probatorio viene ritenuto inutile
  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  e,  quindi, non viene
  espletato se non in sede dibattimentale o, addirittura, qualora sia
  impossibile  effettuano  essendo  decorso il termine massimo per le
  indagini preliminari.
    Infatti,    successivamente,    se    e'   veramente   necessaria
  l'acquisizione  della  prova,  essa  potra'  e  dovra' (per il noto
  principio  dell'accertamento della verita') essere effettuata, come
  e'   noto,   senza   limiti   temporali  dal  giudice  dell'udienza
  preliminare o dal giudice del dibattimento.
    Ne' in tale ottica appare conferente richiamare la differenza fra
  indagato  ed  imputato  giacche'  la  disparita'  appare ancor piu'
  rilevante  ed  incomprensibile nei casi di citazione diretta in cui
  l'acquisizione   probatoria  verra'  effettuata  senza  limitazione
  alcuna   nel   corso   dell'istruzione   dibattimentale  senza  che
  l'imputato possa interferire in alcun modo.
    In questo caso, infatti, l'indagato diventa imputato per assoluta
  scelta discrezionale della pubblica accusa.
    Infatti, come noto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77
  del  1994,  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  degli
  artt. 392  e  393 c.p.p. in quanto non consentivano che l'incidente
  probatorio  potesse  essere  richiesto ed eseguito anche nella fase
  dell'udienza preliminare.
    Si  registra,  quindi,  un'ulteriore  disparita'  di  trattamento
  allorche'   avvenga   tale   ipotesi  giacche'  anche  nell'udienza
  preliminare non e' prescritto alcun termine per cui la persona, che
  pur  formalmente  e'  divenuta  imputata ma che non e' stata ancora
  rinviata  a  giudizio, viene discriminata a seconda che l'incidente
  probatorio  sia  stato, ad esempio dal p.m., richiesto prima o dopo
  la  conclusione delle indagini preliminari. Con la conseguenza che,
  proprio  in  contrasto  con  quanto  vorrebbe la legge, il pubblico
  ministero  avrebbe  di  fatto  la  possibilita' di allungare, senza
  alcun limite, le indagini preliminari acquisendo prove decisive ben
  al di la' del termine stabilito dall'art. 407 c.p.p.
    La  predetta disparita' e' ora divenuta ancor piu' manifesta alla
  luce  delle  nuove  disposizioni in tema di udienza preliminare dal
  momento  che  l'art. 422  novellato  prevede la possibilita' per il
  G.U.P.  per le udienze preliminare di assumere qualunque prova egli
  ritenga  necessaria ai fini della decisivita' della sentenza di non
  luogo a procedere.
    Ed  e'  da  notare  che nel secondo comma della predetta norma si
  parla  proprio  di  citazione  dei  "periti"  che,  alla luce della
  disposizione  di  cui  al  primo  comma, non sembra essere limitata
  all'audizione    degli    stessi    bensi'   si   estende   proprio
  all'effettuazione della perizia ritenuta necessaria.
    Ne'  la limitazione secondo cui la prova deve apparire necessaria
  ai   fini  della  improcedibilita'  puo'  essere  ritenuta  sic  et
  simpliciter  come una norma favorevole all'imputato dal momento che
  appare evidente come una tale acquisizione probatoria possa portare
  a  conclusioni sfavorevoli alla parte privata di cui non potra' non
  essere  tenuto  conto ai fini del rinvio a giudizio. E, deve essere
  ribadito,   la  stessa  udienza  preliminare  non  ha  prescrizioni
  temporali  per  cui  tutte  tali  ipotesi si risolvono in ulteriori
  discriminazioni  fra  persone  che  praticamente  si  trovano nelle
  stesse  situazioni cosicche' si deve registrare anche la violazione
  del principio stabilito dall'art. 3 della Costituzione.
    Insomma,  la  limitazione temporale prevista dall'art. 393 c.p.p.
  appare  illogica in quanto e' noto che l'istituto del termine delle
  indagini  preliminari  e'  stato previsto per porre il cittadino al
  riparo  da  una  protrazione  ingiustificata  ed  illimitata  delle
  indagini a suo carico.
    Da  tutto  quanto illustrato, invece, deriva non solo e non tanto
  che  a  mezzo  dell'incidente  probatorio  solo  indirettamente  si
  effettuano  ulteriori indagini laddove, in realta', si acquisiscono
  precise risultanze probatorie utilizzabili pienamente nei confronti
  dell'imputato  in dibattimento ma soprattutto esistono una serie di
  sistemi per l'accusa per eludere il limite temporale ed ottenere lo
  stesso  risultato  senza dover sottostare alle pastoie normative in
  materia.
    Conseguentemente,   la   predetta   limitazione   temporale   non
  costituisce  affatto  un  diritto a tutela del cittadino ma il piu'
  delle  volte  si  risolve  di  fatto  in  una tutela per la persona
  sottoposta  alle  indagini  del  tutto apparente e rispondente alle
  esigenze difensive solo nella forma ma non gia' nella sostanza.
    Nel  caso  di  specie,  anzi,  non  puo'  non ravvisarsi anche un
  ingiustificato  limite  per  il  giudice  dell'incidente probatorio
  proprio  nei  confronti  del giudice del dibattimento e del giudice
  dell'udienza  preliminare  laddove  l'incidente  probatorio  ha  la
  funzione  essenziale  di consentire a questi giudici di adottare le
  loro determinazioni.
    In  altri  termini,  il giudice dell'incidente probatorio sarebbe
  costretto  a  violare  il principio dell'accertamento della verita'
  dichiarando inutilizzabile l'acquisizione probatoria nonostante sia
  deputato  proprio  a  tale  funzione con palese danno nei confronti
  della  giustizia  e  del  cittadino,  sia  esso  indagato o persona
  offesa,  giacche'  quella  prova,  nella  maggior  parte  dei casi,
  rappresenta  l'elemento  essenziale  per  l'archiviazione  o per il
  rinvio a giudizio.
    In  realta',  in  caso  di effettuazione di incidente probatorio,
  dovrebbe  essere  considerata  implicita  nella stessa ordinanza di
  ammissione   la   proroga  del  termine  per  il  tempo  necessario
  all'espletamento senza necessita' di un'apposita richiesta di parte
  e  di  un  formale  e formalistico provvedimento del giudice. Ed il
  cittadino  non  resterebbe  a  tempo  indeterminato nello status di
  persona  sottoposta alle indagini dal momento che il limite sarebbe
  obiettivaniente    costituito    proprio    dal   lasso   temporale
  indispensabile per l'espletamento dell'incombente.
    Nel  caso  di  specie,  poi,  questo giudice ha disposto un nuovo
  accertamento peritale d'ufficio.
    Si e'. in tal modo, realizzata una situazione del tutto analoga a
  quella  di  cui  all'art. 409,  comma  4,  c.p.p., disposizione che
  consente  al  giudice di fissare di sua iniziativa un nuovo termine
  qualora,  a  fronte  di  una  richiesta  di  archiviazione, ritenga
  necessario che il pubblico ministero effettui ulteriori indagini.
    In  quel caso, quindi, non solo e' demandato alla pubblica accusa
  l'effettuazione  di "indagini" laddove in questo caso e' il giudice
  ad  acquisire  una  vera  e  propria  prova  ma addirittura puo', a
  discrezione  del  giudice,  essere  riaperta la fase delle indagini
  preliminari  al  chiaro  fine  di  acquisire  non  gia'  uno o piu'
  elementi  a  favore  dell'indagato  bensi' proprio al contrario per
  rigettare la richiesta di archiviazione.
    Anche  sotto  questo  aspetto,  quindi,  si  puo' ritenere che si
  realizzi  un'ulteriore  irragionevole  diversita'  fra  il  giudice
  incaricato  dell'incidente probatorio ed il giudice a cui sia stata
  richiesta  l'archiviazione  di un procedimento non sufficientemente
  istruito.
    Si   deve   segnalare,  poi,  un'ulteriore  vizio  della  attuale
  normativa  laddove  e' previsto dall'art. 394 c.p.p. che la persona
  offesa   debba   "sottostare"   alle  determinazioni  del  pubblico
  ministero,   nel  caso  in  cui  ritenga  necessario  od  opportuno
  l'espletamento di una perizia.
    In  tale prospettiva e' previsto dall'art. 393 che la proroga dei
  termini  possa  essere richiesta solo dal pubblico ministero (oltre
  che  dalla  persona  sottoposta alle indagini) ma non dalla persona
  offesa.  Tanto appare contrastante con la previsione costituzionale
  di  cui  all'art. 24 per cui "tutti possono agire per la tutela dei
  propri diritti".
    In  altri  termini, proprio il cittadino per la cui tutela esiste
  la   giurisdizione   penale   non   ha  il  potere  di  interferire
  significativamente  nel  processo.  Attualmente  non deve, inoltre,
  essere   trascurata   la  nuova  formulazione  dell'art. 111  della
  Costituzione  che prescrive che "la giurisdizione si attua mediante
  il giusto processo regolato dalla legge".
    E l'esplicito riferimento alla giustizia non puo' essere limitato
  ai  soli  diritti dell'imputato bensi' essere valutato nel senso di
  riferirsi  ai  fondamentali  principi  di  giustizia  e di esigenze
  sociali  su cui si fonda un moderno Stato di diritto. Non a caso la
  predetta  norma richiama la regolamentazione della legge e numerose
  norme,  a  cominciare  dalla  direttiva  n. 73  della  legge delega
  passando  per  le  esigenze sociali fino all'obbligo, stabilito dal
  codice  di  rito,  del  pubblico  ministero  di ricercare anche gli
  elementi   a   favore  dell'imputato,  esplicitano  quello  che  e'
  semplicemente  un principio di civilta' giuridica, cioe' la ricerca
  della verita'.
    Del  resto,  semanticamente  il  termine  "giusto"  corrisponde a
  qualcosa di conforme non solo alle leggi ma anche ai principi della
  morale.
    E  non potrebbe certo essere considerata morale e, quindi, giusta
  una  disposizione  processuale  che  non consentisse l'accertamento
  della    verita'    imponendo    un    inutile   limite   temporale
  all'acquisizione di una prova decisiva.
    Tanto  appare  comprovato anche dall'art. 6 della convenzione per
  la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo (ratificata dall'Italia con
  la legge n. 848 del 1955) che cita un termine di eguale significato
  gia' nell'intestazione: "Diritto ad un processo equo".
    Ed  a  tale proposito, sia a livello interpretativo che a livello
  normativo,  appare  il  caso  di  richiamare l'art. 10 della nostra
  Carta  costituzionale  che prescrive l'adeguamento dell'ordinamento
  giuridico   italiano   alle   norme   del   diritto  internazionale
  riconosciute   generalmente   ed   in   questo  caso,  addirittura,
  ratificate espressamente.
    Ne'  tale interpretazione della nuova disposizione costituzionale
  e'  confliggente  con l'altra regola, contenuta nella stessa norma,
  secondo  cui  la  legge  deve  assicurare la ragionevole durata del
  processo.
    L'utilizzo dell'aggettivo "ragionevole" appare significativamente
  riferito al tempo tecnico occorrente per l'assunzione di una prova.
  E   nel   caso   di  specie  appare  ancor  piu'  evidente  che  la
  ragionevolezza  non  si puo' identificare con una assoluta brevita'
  dal   momento  che  si  e'  reso  necessario  disporre  un  secondo
  adempimento  peritale che e' pervenuto a conclusioni diametralmente
  opposte  al  primo.  Senza  considerare  che  il  tempo deve essere
  "ragionevole"  in  riferimento espressamente al processo e non gia'
  al procedimento.
    Con  la  conseguenza  che  viene  violato  qualunque principio di
  ragionevolezza   giacche',  come  prima  accennato,  l'indagato  e'
  sottoposto  ai  termini limitati di cui all'art. 407 c.p.p. laddove
  l'imputato puo' restare tale addirittura per decenni.
    Per tutti questi motivi, a parere di questo giudice, la questione
  di  legittimita' costituzionale non solo appare fondata ma comporta
  anche che l'attuale giudizio non possa proseguire indipendentemente
  dalla risoluzione della stessa questione.